Categorie: Caleidoscopio

Interviste impossibili: oggi ci è venuto a trovare il fantasma di Rosa Luxemburg

Un intervista impossibile, cioè al fantasma di Rosa Luxemburg, una donna che sognava la rivoluzione.

Oggi ci è venuto a trovare il fantasma di Rosa Luxemburg (Zamość-Polonia, 5 marzo 1871 – Berlino, 15 gennaio 1919), la donna che sognava la rivoluzione, che il poeta tedesco Bertolt Brecht dedicò una sua poesia: «Ora è sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov’è sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verità / i ricchi l’hanno spedita nell’aldilà». Ebrea della Polonia russa, fragile fisicamente e leggermente zoppa, ma di una forza intellettuale senza pari, al punto da tenere testa a Lenin (essendo critica nei confronti della rivoluzione russa) e al “Papa Rosso” Kautsky, leader storico della SPD, a  15 anni si iscrisse al Proletariat polacco. Dopo essersi diplomata nel 1887 a Varsavia, si trasferì due anni dopo in Svizzera, a Zurigo, a causa della sua attività politica accanto ai movimenti operai polacchi. A Zurigo si iscrisse all’Università frequentando corsi di filosofia, diritto, storia economica, botanica e scienze naturali. Nel 1892 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, dove si laureò nel 1897. L’anno dopo si stabilì definitivamente a Berlino, convinta che si sarebbe trovata al centro della rivoluzione proletaria, allora molto forte in Germania. Grazie a un matrimonio di comodo con un operaio tedesco, Gustav Lübeck, ottenne la cittadinanza. Divenne una dirigente dell’SPD, il partito socialdemocratico tedesco.

Quest’anno è il centenario della sua morte, assassinata insieme Karl Liebknecht, compagno di lotte e cofondatore della Lega di Spartaco (Spartakusbund, che poi divenne nucleo del Partito Comunista tedesco) dai Freikorps tedeschi, una milizia paramilitare agli ordini del capitano Waldemar Pabst, schierati con il governo della repubblica tedesca di Weimar di Frederich Ebert.Pabst e il suo squadrone di morte, chiamati a sedare i rivoltosi, erano convinti che uccidendo Rosa Luxemburg avrebbero messo a tacere e distrutto ogni velleità rivoluzionaria sul territorio tedesco. Quindi, a soli 47 anni, dopo aver dedicato tutta la sua esistenza alla lotta per l’emancipazione dei lavoratori, fu assassinata con un colpo in testa e gettata in un canale. Fu ripescata cinque mesi dopo. Si mise fine così ad una delle menti più brillanti del marxismo, ancora oggi riconosciuta come tale, che fu apprezzata anche da Lenin: «Ella fu – e resta per noi – un’aquila. E non solo i comunisti in tutto il mondo onoreranno la sua memoria, ma la sua biografia e la sua opera completa serviranno come utili manuali per formare molte generazioni di comunisti in tutto il mondo».

Qual è per lei la cosa più importante?

Restare un essere umano è la cosa più importante di tutte. Restare un essere umano, cioè gettare, se necessario, gioiosamente tutta la propria vita sulla grande bilancia del destino, ma allo stesso tempo rallegrarsi per ogni giornata di sole, per ogni bella nuvola. Il mondo è così bello malgrado tutti gli orrori e sarebbe ancora più bello se non vi fossero sulla terra dei vigliacchi e dei codardi.

Lei fu la rivoluzionaria più coerente e coraggiosa del suo tempo al punto da polemizzare con i bolscevichi di Lenin, ricordando ai compagni russi che la soppressione della democrazia in nome della “dittatura del proletariato”sarebbe stato un grave errore. Perché?

Sicuramente ogni istituzione democratica ha i suoi limiti e i suoi difetti, come tutte le istituzioni umane. Ma il rimedio trovato da Lenin e Trotsky – sopprimere la democrazia in generale – è ancora peggiore del male che si deve curare: esso ostruisce infatti proprio la fonte viva dalla quale possono venire le correzioni alle imperfezioni congenite delle istituzioni sociali. La vita politica attiva, libera ed energica della grande maggioranza delle masse popolari. L’ultracentralismo raccomandato da Lenin mi sembrava pervaso in tutto il suo essere non dallo spirito positivo e creatore ma dallo spirito sterile del guardiano notturno. La sua concezione è fondamentalmente diretta a controllare l’attività di partito e non a fecondarla, a restringere il movimento e non a svilupparlo, a soffocarlo e non a unificarlo.

In una lettera inviata alla redazione della rivista inglese «Labour Leader», lei si schiera contro la decisione di Lenin di partecipare alla guerra come opportunità rivoluzionaria, contro lo sciovinismo, cioè l’indebolimento delle coscienze che la guerra produce. Perché la decisione di Lenin la ritenne un ostacolo per la rivoluzione proletaria?

Quello spaventoso massacro reciproco di milioni di proletari al quale assistevamo con orrore, quelle orge dell’imperialismo assassino che accadevano sotto le insegne ipocrite di “patria”, “civiltà”, “libertà”, “diritto dei popoli”, e che devastavano città e campagne, calpestavano la civiltà, minavano alle basi la libertà e il diritto dei popoli, rappresentarono un tradimento clamoroso del socialismo.

Che cos’è per lei la libertà?

Gettare con gioia la propria vita sulla “grande bilancia del destino”, quando è necessario farlo, ma nel contempo gioire di ogni giorno di sole e di ogni bella nuvola. La libertà è sempre ed esclusivamente libertà per chi la pensa in modo diverso. La libertà è sempre la libertà di dissentire. Se però la “libertà” diventa “privilegio”, i meccanismi della libertà politica sono infranti.

Ci può spiegare perché rifiutò l’idea dell’inevitabilità del socialismo, si schiera anche contro Kautsky, il “Papa Rosso”, l’erede di Marx, ma accettando l’idea dell’inevitabilità del crollo del capitalismo? Non crede che il crollo del capitalismo senza una base socialista porti le società a sfociare facilmente nell’anarchia? A questo punto ci domandiamo: che cos’è per lei il marxismo?

Il marxismo è una visione del mondo rivoluzionaria che deve sempre lottare per nuove rivelazioni. Il marxismo deve aborrire nulla tanto quanto la possibilità che si congeli nella sua forma attuale. È al suo meglio quando si agita la testa in autocritica, e in tuoni e lampi storici, mantiene la sua forza. Comunque la rivoluzione è la miglior scuola per il proletariato.

Non si può definire certamente una donna “comune”, sempre a combattere per i diritti umani, per la dignità della classe operaia. È mai vacillata questa sua “lotta proletaria”, di sentirsi sola e incompresa?

Qualche volta ho avuto la sensazione di non essere un vero e proprio essere umano, ma appunto qualche uccello o un altro animale in forma di uomo; nel mio intimo mi sento molto più a casa mia in un pezzetto di giardino, oppure in un campo tra i calabroni e l’erba, che non… a un congresso di partito. Ma non tradirei mai il socialismo. Spero di morire sulla breccia: in una battaglia di strada o in carcere. Ma nella parte più intima, appartengo più alle mie cinciallegre che ai “compagni”. E non perché nella natura io trovi, come tanti politici intimamente falliti, un rifugio, un riposo. Al contrario, anche nella natura trovo ad ogni passo tanta crudeltà, che ne soffro molto.

Come si può riscattare la classe lavoratrice?

Solo estirpando alla radice la consuetudine all’obbedienza e al servilismo, la classe lavoratrice acquisterà la comprensione di una nuova forma di disciplina, l’autodisciplina, originata dal libero consenso.Non dobbiamo dimenticare che non si fa la storia senza grandezza di spirito, senza una morale elevata, e senza gesti nobili. Quelli che non si muovono, non si accorgono delle loro catene.

Qual è il suo ideale di mondo?

Il mio ideale è il regime sociale in cui si potrebbe con tranquilla coscienza amare tutti quanti. La suprema ratio alla quale sono arrivata attraverso la mia esperienza rivoluzionaria polacco-tedesca è quella di essere sempre se stessi, completamente, senza tener conto dell’ambiente e degli altri. Ed io sono e voglio restare un’idealista. Del resto tutto sarebbe più facile da sopportare se non mi dimenticassi la legge fondamentale che mi sono prefissa come regola di vita: essere buoni, ecco l’essenziale. Essere buoni, molto semplicemente. Ecco che comprende tutto e che vale di più di tutta la pretesa di avere ragione.

Lei sarà pure stata una pasionaria, una rivoluzionaria, ma è stata anche una donna cha ha amato.

Per me, l’amore è stato (o è?…) sempre più importante, più sacro dell’oggetto che lo suscita. Perché permette di vedere il mondo come una fiaba splendida, perché fa emergere dall’essere umano ciò che vi è di più nobile e di più bello, perché eleva ciò che vi è di più comune e umile e lo adorna di brillanti e perché permette di vivere nell’ebbrezza, nell’estasi.

Giorgio Moio

Poeta, nasce a Quarto (NA) nel 1959. Già redattore di «Altri Termini» e «Oltranza» (di quest'ultima è anche tra i fondatori), per le Edizioni Riccardi, già direttore editoriale, nel '98, anno in cui inizia a partecipare a mostre collettive di poesia visuale (una sessantina fino ad oggi) fonda e dirige la rivista «Risvolti». Dal 2017 dirige la rivista «Frequenze Poetiche» e dal 2021 cura la collana di poesia verbovisuale "Contrappunti", presso l'editore Bertoni. Ha organizzato eventi, partecipato a letture di poesia e ad una sessantina di mostre collettive di poesia visuale. Ha pubblicato una ventina di volumi di poesia, prosa e saggistica, di cui l'ultimo è Contrappunti variabili (Bertoni Editore, 2020 - poesia).

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