La Procura Antimafia ha aperto un'inchiesta nella capitale per smascherare il giro di affari milionario che si nasconde dietro il riciclaggio degli abiti usati e dietro il quale si celerebbe l'ombra della camorra.
“La camorra degli stracci”. Questo il nomignolo affibiato dagli investigatori a quella parte della criminalità organizzata che, come un moderno re Mida, trasforma indumenti usati in milioni di euro. È questo uno dei tanti affari (anche se forse tra i meno noti) portato avanti dalla malavita nostrana che impone la legge mafiosa alle ditte sane. Un sistema corrotto che ha raggiunto in questi giorni anche la regione Lazio, inducendo l’Antimafia di Roma ad aprire un’inchiesta.
Oggetto è la raccolta e la commercializzazione dei vecchi abiti operata dall’AMA, l’azienda che a Roma gestisce gli stracci disseminati nei circa 1800 cassonetti e che ha affidato a due consorzi, l’Alberto Bastiani e Il Solco, al cui interno, come una matrioska, ci sono numerose cooperative che a loro volta offrono lavoro a molti lavoratori socialmente utili come ex detenuti, aiutandoli al loro recupero sociale. Il punto è che queste coop vendono poi gli abiti a ditte di stoccaggio
ad un prezzo irrisorio, che si aggira tra i 20 e i 50 centesimi a pezzo e queste a loro li rimettono sul mercato ad un prezzo maggiorato, dando vita ad un giro d’affari davvero interessante che supera i 2 milioni di euro e che non è passato inosservato ai gruppi camorristici di Ercolano.
Alfonso Balido,imprenditore campano che nel centro pontino lavora in una ditta di stoccaggio di vestiti usati gestita dalla moglie, ha denunciato ai carabinieri di essere stato vittima di estorsioni e minacce ad opera di Pietro Cozzolino, socio di una delle cooperative che lavorano per l’AMA, che l’avrebbe costretto a vendere gli abiti usati alla sua azienda. Brutta storia, questa, fatta di incendi, intimidazioni e aggressioni e sulla quale sono in corso le indagini della Procura della Repubblica.
Non è una novità il riciclaggio degli abiti usati. Se condotta a norma di legge (è prevista la sterilizzazione degli abiti obbligatoria ad esempio prima del loro reimpiego), è questa un’iniziativa indubbiamente lodevole che può portare anche a contrastare l’inquinamento (grazie ad una forte diminuzione di CO2), riducendo tra l’altro anche il consumo di fertilizzanti e pesticidi.
Già da parecchi anni sono molte le aziende che si dedicano al loro reimpiego o alla loro trasformazione. L’H&M, colosso dell’abbigliamento, ad esempio, ripropone i capi che ha recuperato in cambio di buoni sconto e quelli che sono in buone condizioni, come abiti di seconda mano. Quegli indumenti che invece non sono più utilizzabili serviranno per il recupero delle fibre tessili mentre alcuni di essi verranno impiegati per la realizzazione di prodotti per la pulizia, materiali assorbenti o isolanti per l’industria automobilistica o ancora trasformati in energia.
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