Con la medicina narrativa, la storia del paziente e della sua malattia si trasforma in qualcosa di non meramente clinico, ma capace di coinvolgere il vissuto più intimo per poi estrinsecarsi nel racconto.
Le malattie portano con sè conseguenze fisiche e psicologiche. Spesso se ne sa poco e male, ancora più spesso l’approccio che ci viene offerto è troppo scientifico e nel contempo asettico per consentirci veramente di capire con cosa si ha a che fare.
Ansie e timori per la propria salute, l’onere delle cure, per noi e per chi ci sta accanto, i rapporti interpersonali che subiscono inevitabili cambiamenti, l’incomprensione che spesso viene da chi non vive la cosa in prima persona. Il dialogo, il confronto, la scrittura riflessiva in questo caso servono a tanto: il malato può così dare direttive sul come farsi curare al meglio. Nasce così la medicina narrativa (o “Narrative Based Medicine”, termine coniato da Rita Charon, Professor of Clinical Medicine and Director of the Program in Narrative Medicine at the Columbia University College of Physicians and Surgeons).
La storia del paziente e della sua malattia si trasforma dunque in qualcosa di non meramente clinico, ma capace di coinvolgere il vissuto più intimo per poi estrinsecarsi nel racconto, in una relazione costante di ascolto attivo e fiducia tra medico e paziente. Appare chiaro dunque che scienze come la sociologia, la psicologia, l’antropologia – che anticamente convergevano in sinergia nel sapere medico – tornano a “collaborare” con la medicina nuda e pura.
A giugno si è svolta a Roma presso l’Istituto Superiore di Sanità la Consensus Conference durante la quale si sono delineate “Linee di indirizzo per l’utilizzo della medicina narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”. Le conclusioni sono state diffuse nell’ambito del Second International Congress “NARRATIVE MEDICINE AND RARE DISEASES”, dal prof. Sandro Spinsanti, il quale raccomanda di introdurre la competenza narrativa nei percorsi formativi universitari e di sanità pubblica, anche attraverso strumenti non convenzionali nelle aule di Medicina quali la letteratura, il cinema e i social network. Parallelamente, come evidenziato dalla dr.ssa Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare, questo conduce ad una riduzione delle cosiddette pratiche di medicina difensiva lasciando spazio alla relazione, che diventa uno strumento di comprensione della diagnosi e della terapia.
La medicina narrativa porta a sviluppare così un modello terapeutico fondato sull’empatia che consenta al medico da un lato di offrire al paziente una cura e un sostegno modellati sui suoi bisogni e dall’altro un migliore utilizzo delle risorse sanitarie.
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