Secondo i dati Istat, nel 2019, il 62,5% dei bambini dai 6 ai 10 anni, il 90 % dei ragazzi dagli 11 ai 14 anni e il 94,7% di quelli tra i 15 e i 17 anni usano Internet, con un incremento rispetto al 2018 di almeno 3 punti percentuale. Dei dati che creano una riflessione da prendere in assoluta considerazione.
Eppure l’emergenza del Covid-19 ha messo in luce l’effettiva situazione italiana relativamente al possesso di un personal computer: nel 2019 soltanto il 66,2% delle famiglie italiane possedeva un computer con una netta differenza tra Nord (69,9%) e al Sud (41%).
Sicuramente i fondi messi a disposizione delle scuole dal Ministero dell’Istruzione (in totale 165 milioni di euro) per l’acquisto di pc, tablet e dispositivi per la connessione Internet stanno aiutando a compensare il divario tra le famiglie e tra nord e sud Italia.
Riflessione: come sottrarsi alla parola che ferisce e accogliere quella che guarisce
Non possiamo sottrarci alla necessità di digitalizzare tutte le famiglie e di consentire ai giovani e ai giovanissimi (anche i bambini, insomma) di esercitare il diritto all’istruzione. Certamente la Didattica a Distanza, benché sia una risorsa, non rappresenta una meta risolutiva o sostitutiva dell’ambiente di apprendimento fisico.
Benché dunque si preveda per il 2020 un aumento esponenziale di tutte queste percentuali, non possiamo dimenticare che all’aumentare dell’accesso alla realtà virtuale equivarrà un aumento degli episodi di violenza digitale.
La MNR, Metodologia della Narrazione e della Riflessione – ha aiutato già moltissimi ragazzi e giovani e adulti e anziani al confronto; persone che attraverso il dialogo hanno imparato quanta bellezza ci sia nel conoscere e nel conoscersi, quanta quiete arrivi nel lasciarsi dietro l’amarezza della parola che ferisce e nell’accogliere quella che guarisce.
L’emergenza ha sensibilizzato anche gli adulti – che hanno compreso qualcosa in più del virtuale e dell’importanza di una comunicazione sana che non ceda alla seduzione del web – e ha anche dimostrato che abbiamo bisogno gli uni degli altri, perché l’altro ci permette di scegliere (anche la solitudine che non significa però isolamento) e ci permette di accedere a noi stessi attraverso il linguaggio, che è fatto anche e soprattutto di presenza.
Aprire un dialogo
Le parole non bastano per comunicare, occorre l’interezza del linguaggio, nei suoi aspetti paraverbali e non verbali: il dialogo è altra cosa rispetto alle conversazioni in sicurezza e ai dibattiti televisivi e alle chiacchiere telefoniche e alle riunioni virtuali e alle lezioni a distanza. Il dialogo è prossimità, è illuminazione, è conoscenza, è fedeltà all’umano, è vita pensata. Se ci apriamo al dialogo, allora siamo disposti a metterci in discussione, a cambiare il nostro punto di vista, a non lasciarci persuadere dai soliti slogan perché diveniamo meno malleabili, meno arrendevoli, meno influenzabili, meno passivi, pur divenendo più tolleranti e disponibili, più pazienti e attivi.
Il dialogo ci allena all’esercizio critico, insomma. Ci consente di assumere la posizione di chi guarda e ascolta con sospetto ma in primis di chi getta il sospetto su se stesso, sulle proprie idee e soprattutto sull’ovvio. Affinché vi sia dialogo occorre che qualcuno si faccia garante della democraticità su cui esso si regge e si edifica, stimolando la partecipazione attiva di ciascun partecipante. Soltanto attraverso la modalità dialogica potremmo imparare a sottrarci a quegli scambi linguistici che hanno la forma degli scontri, della violenza verbale, della furia rabbiosa, dell’odio.