Culture

Piegare i santi. Inchini rituali e pratiche mafiose

Spesso liquidati come gesto pagano e premoderno, gli inchini rituali, in realtà, richiedono una lettura in grado di comprendere la complessa e più generale macchina rituale della festa.

Piegare i santi. Inchini rituali e pratiche mafiose è l’ultimo lavoro dell’antropologo Berardino Palumbo sul triste rituale dell’inchino delle statue davanti alle case dei boss.

Berardino Palumbo è ordinario di Antropologia sociale all’Università di Milano ed è autore di numerosi saggi di antropologia pubblicati sulle principali riviste di settore. Ha pubblicato inoltre l’Unesco e il campanile (Meltemi 2003) e Politiche dell’inquietudine (Le lettere 2009).

Il saggio, che uscirà nelle librerie il 21 maggio 2020, è uno studio antropologico sui rituali dell’inchino delle statue dei santi davanti alle case dei mafiosi, riportate dai media in diverse occasioni. Il prof. Berardino Palumbo nel suo testo specifica che diversamente da quanto si pensi, tali pratiche non sono esclusive del Mezzogiorno, ma anche di alcune zone del nord Italia. Spesso liquidate come gesto pagano e premoderno, tali pratiche in realtà richiedono una lettura in grado di comprendere la complessa e più generale macchina rituale della festa. 

Abbiamo approfittato della disponibilità del professore Berardino Palumbo per alcune domande sul suo ultimo lavoro Piegare i santi. Inchini rituali e prathttp://www.sguardoadest.it/new_blog/piegare-i-santi-inchini-rituali-e-pratiche-mafiose/iche mafiose.

Intervista al prof. Berardino Palumbo

Mi ha incuriosito molto il secondo capitolo del suo libro “Tram e spazi sacri”. Perché parla di tram, ci può anticipare qualcosa?

Quello del tram è un esempio, perso dalla realtà nella quale abito, la città di Messina, che serve a mostrare l’importanza che la cerimonialità festiva collettiva riveste nella vita e nello spazio pubblico delle società urbane meridionali.  Mostro come, negli anni ’90, la progettazione e la realizzazione di un’importante infrastruttura pubblica e “moderna” (tram urbano) si sia dovuta plasmare in relazione alla devozione e della ritualità popolari. Il percorso del tram urbano viene modificato perché quello previsto dal progetto si sovrapponeva al percorso della Vara dell’Assunta, la principale processione pubblica della città. L’esempio è dunque emblematico di una sovrapposizione tra “religione”, “devozione” e politica che, pur venendo da molto lontano, connota lo spazio pubblico contemporaneo e la “modernità” delle nostre città.

Ci spiega meglio perché l’inchino delle statue dei santi ai mafiosi è considerato un retaggio pagano? I culti pagani prevedevano che il divino rendesse omaggio all’umano?

La tesi del libro è che i cosiddetti “inchini” e molte altre forme di devozione popolare assolutamente non sono residui di paganesimo. La lettura “residuale” – che ha origine nell’azione di missionari (francescani e gesuiti, a partire dal XVI secolo) nelle società colonizzate, soprattutto, dell’America latina indigena, viene adoperata a volte (ma sempre più raramente) da esponenti della Chiesa, e più spesso dal mondo dei media per collocare fuori dal tempo della contemporaneità pratiche sociali e rituali altrui che, invece, sono pienamente contemporanee. Pratiche e credenze che fanno riferimento ad un universo e ad un linguaggio giurisdizionale (nel quale il rito e la religione sono anche spazi politici nei quali si attribuiscono, contendono e esibiscono diritti e status sociali), proprio delle società europee ed euro-americane coloniali d’Ancien Régime e messo a punto dalla Chiesa cattolica.

Al di fuori di questo “linguaggio” quei gesti (per ciascuno dei quali volendo si potrebbero trovare antecedenti storici, volendo anche pre-cristiani, senza però riuscire a spiegarne in maniera storicamente plausibile la continuità nel tempo e il perdurare del senso sociale) non hanno alcun senso, e comunque non hanno alcun senso per gli attori sociali (e quindi non ne hanno per l’antropologo che prova ad interpretarli). Quello che interessa ad un antropologo sociale che faccia ricerca etnografica (che cioè viva con un gruppo abbastanza a lungo per tentare di comprendere il senso di alcune sue pratiche) è il senso che le persone danno alle loro azioni e credenze, qui e ora. Il che non significa rinunciare alla storia, ma praticarla e adoperarla a partire da fonti certe, e non seguendo inverificabili, fantasiose e quasi sempre ideologicamente viziate ricostruzioni.

Nel suo libro ci sono molti riferimenti ad atti processuali che sottintendono un lungo lavoro di ricerca. Quanto tempo ci è voluto per comprendere appieno le dinamiche mafiose legate al rito delle statue nella sua città?

Io non ho studiato etnograficamente Messina, delle cui peculiari forme rituali e della cui conformazione del campo criminale ho piuttosto una conoscenza da cittadino informato (e con qualche strumento di lettura della realtà). Non essendo siciliano, ma lavorando e vivendo in Sicilia dal 1994, ho  acquisito le competenze interpretative attraverso una lunga esperienza etnografica in un’area dell’interno. Vivendo oltre due anni continuatamente in un centro di quest’area, ho avuto modo di vivere e comprendere, credo a fondo, le pratiche e le credenze rituali pubbliche messe in atto dai suoi abitanti.

Ho frequentato quei mondi divenendo amico di moltissima gente comune, che piange al passaggio di una statua della propria Madonna, così come di persone che per scopi politici, e politico/rituali erano abilissimi manipolatori delle devozioni altrui a fini politici (far inchinare una statua, sollevarla con le braccia in senso di sfida, farla dondolare – annacare – come esibizione di forza, ma anche spingere qualcuno ad aggredire per devozione un parroco); ho conosciuto anche persone vicine a gruppi criminali che, in alcuni casi, sono stati capaci di inserirsi nella dialettica (mai schematica, mai unidirezionale, mai polarizzante tra devozione e politica) e di adoperarla a proprio vantaggio.

Tutti, a loro modo e all’interno di uno scenario giurisdizionale condiviso, possono essere (in certi momenti, in determinate contingenze e contesti) sia “credenti”, sia “manipolatori”. DI questa esperienza etnografica ho scritto in altri due precedenti volumi (più tecnici e se volete accademici). In questo ultimo libro ho estratto il senso generale di queste esperienze, legandolo alla letture di dinamiche (come gli “inchini”) che hanno attratto l’attenzione dell’opinione pubblica, con lo scopo di far riflettere intorno a nozioni complesse come quelle di “modernità”, “religione”, “credenza”, “spazio pubblico e “politica”.

Piegare i santi. Inchini rituali e pratiche mafiose

Sommario
Introduzione. 1. Tram e spazi sacri. 2. Tra inchieste ed etnografia. 3. Una religiosità contro la religione? 4. Le chiese di Catalfaro. 5. «Cento gocci di lacrime». 6. Pienamente moderni. 7. Conclusioni. Corpi, violenze e masculiate. 8. Bibliografia.

Pagine 176, prezzo 13 euro

Ed. Marietti 1820

Francesca Amore

Trapiantata a Roma per necessità ma emotivamente ancorata a Napoli, non ha mai smesso di sperare che un giorno ci ritornerà definitivamente. Laureata all?istituto Universitario Orientale in lingue slave , si occupa di traduzioni dal russo e dal polacco. Giornalista pubblicista dal 2005, è appassionata di arte e letteratura in genere, ma di quella russa in particolare. Ama scrivere sugli argomenti più disparati perché di indole curiosa.Generosa, impulsiva e sincera, non ama le persone intellettualmente disoneste, ma si sa, il mondo è bello perché è vario, ma intanto? io mi scanso.

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Francesca Amore

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