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Poche stelle? Colpa dei quasar

Circa 11 miliardi di anni fa, la formazione delle stelle nel nostro Universo ha subito una grande battuta d’arresto.

Perché? Gli astronomi si pongono questa domanda da sempre, senza essere ancora riusciti a trovare una risposta soddisfacente. Ma adesso un gruppo di ricercatori guidati dalla Johns Hopkins University americana potrebbe aver trovato la chiave per risolvere questo mistero.

Secondo gli scienziati, la produzione di nuove stelle sarebbe stata impedita dall’energia prodotta dai quasar all’interno delle galassie dove la formazione stellare è cominciata quando l’Universo era molto più giovane.

In particolare, le intense radiazioni e i venti galatticiprovenienti dai quasar – i luminosissimi nuclei al centro delle galassie – avrebbero riscaldato le nubi di polvere e gas circostanti, impedendo a questo materiale di raffreddarsi e formare nuove stelle.

Per arrivare a questa ipotesi il gruppo di ricerca ha passato in rassegna ben 17.468 galassie, cercando tracce del cosiddettoEffetto Sunyaev-Zel’dovich (SZ). Si tratta di un fenomeno chiamato così dal nome dei due fisici russi che l’hanno scoperto quasi 50 anni fa, ed è uno dei meccanismi che influenzano la Radiazione Cosmica di Fondo (CMB, da Cosmic Microwave Background). La CMB, traccia fossile del Big Bang, è un insieme di microoonde che costituiscono il residuo della nascita del nostro Universo circa 13.7 miliardi di anni fa.

Ma cosa c’entra questa traccia del Big Bang con l’arresto della formazione stellare? La risposta sta nel calore: l’Effetto Sunyaev-Zel’dovich è associato a un notevole aumento del livello di energia termica – lo stesso che potrebbe impedire la nascita di nuove stelle.

Per confermare l’effettiva presenza dell’Effetto SZ i ricercatori hanno utilizzato prima di tutto le informazioni ottenute dalloSloan Digital Sky Survey (SDSS), la più dettagliata mappa 3D dell’Universo oggi esistente, che ha permesso di identificare i quasar.

I dati sono stati poi incrociati con quelli raccolti dall’Atacama Cosmology Telescope (ACT),  un telescopio da 6 metri situato nel deserto Atacama, nel nord del Cile. L’ATC è stato progettato per realizzare immagini del cielo in alta risoluzione nella gamma delle microonde, con lo scopo di studiare appositamente la Radiazione Cosmica di Fondo. I dati ottenuti dal telescopio hanno confermato la presenza di energia termica, così come quella dell’Effetto SZ.

La prova conclusiva è arrivata infine dall’Herschel Space Observatory, il telescopio spaziale dell’ESA posizionato a 1,5 milioni di chilometri di distanza dalla Terra, dove raccoglie dati sull’aspetto dell’Universo nell’infrarosso. Herschel ha individuato le polveri attorno ai quasar, catturate in particolare dallo strumento Spectral and Photometric Imaging Receiver (SPIRE).

Combinate tra loro, tutte queste informazioni hanno permesso ai ricercatori di strutturare la teoria secondo cui la formazione stellare si sarebbe quasi interrotta quando l’Universo aveva solo un quarto dell’età attuale.

Lo studio, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, arriva curiosamente pochi giorni dopo una ricerca uscita sulla stessa rivista, che aveva analizzato proprio il vento galattico emesso da un quasar all’interno di un buco nero supermassiccio.

Anche se su scala molto più piccola, i ricercatori avevano mostrato il ruolo fondamentale del vento nel quasar per quanto riguarda la formazione delle galassie: quando una galassia nasce, queste correnti soffiano via il materiale che altrimenti si trasformerebbe in giovani stelle.

La ricerca condotta dalla Johns Hopkins University mette in luce un nuovo elemento oltre a quello legato all’azione fisica dei venti galattici, ovvero il ruolo fondamentale del calore nei quasar per fermare la produzione stellare.

E l’utilizzo dell’Effetto Sunyaev-Zel’dovich come prova costituisce un approccio molto innovativo, che getta una nuova luce sulla fondamentale influenza dei venti nei quasar per quanto riguarda l’evoluzione delle galassie.

Redazione CinqueColonne

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