Categorie: Culture

Poeti in Campania: un’intervista a Federico Preziosi

Seconda intervista ad un autore nato in Campania: Federico Preziosi, poeta.

Il poeta che andiamo ad intervistare è Federico Preziosi, nato ad Atripalda (AV) nel 1984. Ha studiato musicologia e beni musicali presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, laureandosi in Estetica e Filosofia della musica con una tesi dal titolo Béla Bartók – Evoluzione di un pensiero nazionale. Da alcuni anni vive in Ungheria, dove insegna lingua e cultura italiana a scuola e privatamente. La sua poesia, esercitata con spirito ludico e indagatore, si lascia influenzare da numerose tendenze, dal crepuscolarismo al futurismo passando per l’ermetismo e la poesia slam, incontro tra parole e musica che recita in festival e rassegne, e che ha raccolto nel volume Il Beat sull’inchiostro (Aletheia Editore, 2017), un percorso ideato su intrecci di rime a ritmo di rap che ritrae l’odierna società utilizzando robuste dosi di sarcasmo, irriverenza e tanta schizofrenia o, come dice lo stesso Preziosi, «una realtà, una parte di me stesso che ha bisogno di esprimersi attraverso mezzi creativi per sopravvivere e realizzarsi».

Come ti sei avvicinato alla poesia? C’è stato qualcuno che devi ringraziare per averti dato, che so, dei consigli di come muoverti nel tuo percorso artistico?

Qualcuno storcerà il naso, ma il mio rapporto con la poesia nasce con i testi delle canzoni, in particolare quelle del rock italiano degli anni ’90 (Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena, C.S.I., Scisma ecc.). Da ragazzino scrivevo canzoni in una band, non mi occupavo di poesia, era la musica ad alimentare il mio immaginario poetico. La poesia vera e propria entra nella mia vita solo dopo la fondazione di “Poienauti” su Facebook nel 2016, per volere di Armando Saveriano. Accettando di fondare il gruppo per dargli una mano, mi sono lasciato coinvolgere, pertanto senza di lui non avrei mai intrapreso questo percorso, vivrei una vita radicalmente diversa. Col tempo sono intervenute altre persone per me molto importanti: Giuseppe Cerbino, Lorena Turri, Daniela Marinoni e la comunità Versipelle. A loro devo uno speciale ringraziamento e tanta gratitudine.

Quali programmi hai in cantiere? 

Continuare il mio lavoro con la comunità poetica Versipelle, la quale si fregia della presenza di 23 poeti provenienti da tutta Italia. Lo scopo di Versipelle è quello di creare un corpus pensante e attivo in varie località italiane all’interno del mondo della poesia, in un panorama mortifero, oggi troppo autoreferenziale. Versipelle promuove eventi, cerca di coinvolgere persone e intende elaborare, in un’epoca di frammentazioni, una visione della poesia nuova basata sul cambiamento continuo, sul mettersi alla prova e sulla condivisione. Di giorno in giorno ci strutturiamo sempre di più ed è appagante vedere come cresca questa creatura, nata un po’ per gioco, un po’ per incoscienza. Sarebbe bello fare di Versipelle una corrente letteraria, ma il nostro punto di incontro si basa sulle differenze e trovo che in questa contraddizione si possa riassumere tutta la nostra forza e la nostra debolezza.

Come vivi la cultura, la poesia, nella tua città, nella tua vita? Trovi difficoltà e quali?          

Vivo e lavoro a Budapest, per questo entrare a far parte di un circuito culturale utilizzando la propria lingua madre non è per niente facile. Non credo nemmeno che ce ne sia uno a dire la verità. Per questa ragione sono molto attivo su internet, è l’unico canale che mi permette di muovermi e di aprire delle porte. I gruppi Facebook che gestisco o modero (tra cui Poeti italiani del ‘900 e contemporanei) mi occupano un po’ di tempo, eppure danno tanto alla mia crescita culturale. Vorrei tanto poter contribuire a portare questa realtà anche fuori dal web.

Oggi, con la crisi dell’editoria, pubblicare un volume non è semplice: le grandi case editrici non ti filano se non sei legato politicamente o a risorse economiche, e le piccole ti chiedono contributi economici, spesso esosi. Per non parlare poi della poesia che, seppur prolificante, è rinchiusa in “cripte” elitarie. Hai riscontrato difficoltà editoriali durante il tuo percorso, e se sì, per quali motivi?        

Sappiamo che per la grande editoria ci vogliono i santi in paradiso, ma il mondo della piccola editoria, che dovrebbe essere quanto meno più rassicurante, è pessimo in quanto del tutto privo di una proposta culturale. Non ha alcun senso pubblicare a destra e a manca per raschiare dei soldi dagli autori, è una politica che sul lungo periodo non paga. Alla piccola editoria manca una visione e questo, naturalmente, si riflette in maniera negativa sugli autori. Delle mie vicissitudini editoriali non parlo per motivi di spazio. Posso dire solo che c’è in giro troppa sciatteria e il lato promozionale, considerando anche i costi esosi per la stampa, il più delle volte lascia molto a desiderare.

Se dovessi paragonare la tua poesia ad un poeta famoso, a chi la paragoneresti? Quale affinità elettive ci trovi con la tua poesia?    

Lascio che siano i lettori a fare i dovuti paragoni. Ho le mie suggestioni e i miei riferimenti, sono vorace di letture, ma scrivo principalmente lavorando molto con l’immaginazione oppure rievocando il vissuto. Se proprio devo fare un nome tra i grandi, cito Amelia Rosselli perché tocca corde profonde del mio animo in un modo che non saprei nemmeno descrivere. Mi ha sconvolto la vita!

A questo punto parlaci della tua poetica, di come lavori. Qual è il tuo intento?

Cambio poetica in continuazione rimodulando lo stile di volta in volta. Sono Versipelle per questo, spazio dalla poetry slam alla poesia confessionale, passo per forme tendenzialmente prosastiche e approdo a versi minimali. Negli ultimi mesi ho cominciato anche a interessarmi alla metrica perché non ho limiti e non desidero averne, assecondo la mia capacità di immedesimazione in ogni momento, l’unica cosa che abbia senso in poesia è la rappresentazione. Questo non significa non avere le idee chiare, ma appropriarsi di un ventaglio stilistico ampio, in modo da scoprire e scoprirsi. Scrivere poesia è scavare, creare significati, evocare con i simboli e i suoni. A lungo mi soffermo sulle forme, ma poi mi lascio prendere dalla voglia di essere altro. È lì che capisco quando è giunto il momento di cambiare. La mia poesia vive di continue mutazioni, a volte repentine.

La soddisfazione maggiore – se c’è stata – che hai raccolto nel mondo letterario?     

Porto nel cuore quei momenti in cui ho conosciuto dal vivo molte delle persone con le quali condivido parte del mio percorso. Ho intrapreso questo cammino con un forte desiderio di socializzazione e Avellino, Milano, Roma e Napoli sono i luoghi dove preservo i ricordi più belli. Ho ricevuto qualche riconoscimento, ne sono fiero perché pratico la poesia da pochi anni, eppure i momenti che preferisco restano quelli in cui incontro le persone.

Cosa pensi dei libri digitali? Possono competere con l’editoria tradizionale, cioè con quella cartacea e perché?           

Personalmente preferisco il cartaceo e non credo che al momento possa essere sorpassato dal digitale. Tuttavia si tenga conto che quest’ultimo ci permette di accedere a una quantità di informazioni sconfinata, pertanto è destinato a crescere esponenzialmente, anche perché possiamo reperire materiale fuori catalogo o che non compreremmo fisicamente per ragioni di spazio.

Qual è il tuo rapporto con la politica?

La politica si è resa obsoleta da quando i partiti hanno smesso di essere il tramite tra società e istituzioni per trasformarsi in agenzie di marketing. Non ci sono idee che non siano mercificate. Manca una visione comune, la capacità di convincere le persone a inseguire un orizzonte. La sicurezza, la proibizione, la repressone del sesso possono essere temi su cui discutere se si ha una visione conservatrice (condivisibile o meno), ma non possono essere in alcun modo orizzonti perseguibili. I partiti di oggi fanno branding del terrore, lo rendono necessario, giocano sul consenso momentaneo eccitando degli animi. C’è una eccessiva spettacolarizzazione che ha condotto allo smarrimento del senso della realtà. L’odio di cui leggiamo tutti i giorni è del tutto gratuito e si nutre di analisi fasulle e fake news. Non si può fare la guerra ai migranti e poi disinteressarsi ai temi delle materie prime, dell’energia e del clima. I disastri ambientali, per esempio, non hanno account. Accadono e non hanno l’hashtag, per questo fanno poco rumore. Il mio rapporto con la politica è pertanto nostalgico, non dal punto di vista ideologico, ma pratico. La politica manca.

Come vivi la quotidianità?

Scrivendo, leggendo e ascoltando musica nel tempo libero. Convivo con la mia ragazza in un piccolo appartamento nella periferia di Budapest e mi guadagno da vivere con l’insegnamento, un’attività che amo molto. Vivo una vita semplice.

Se potessi cambiare lo stato comatoso in cui vive oggi la nostra società, quali sarebbero le tue soluzioni, le proposte?      

Impedire l’utilizzo dei social network per scopi propagandistici ai politici! Da quando sono diventati medium, la maggior parte dei giornalisti riportano in continuazione notizie sui loro selfie, sul cibo che mangiano e tutta una serie di buffonate di cui dovremmo fare a meno. A quel punto forse si riuscirebbe a discutere con maggiore serenità dei problemi reali. La crisi è innanzitutto morale, bisogna ritrovare il piacere dello stare insieme e smetterla di essere costantemente distratti da un “altro” inutile.

Qual è la tua ultima fatica editoriale? Puoi parlarcene?

Il beat sull’inchiostro, pubblicato nel 2017 è la mia unica pubblicazione al momento. Si tratta di un libro poetry slam con forti influenze rap, beat e futuriste. I testi parlano della mia generazione e naturalmente della questione politica: quasi tutte le liriche andrebbero rappate, ma non ci sono basi, da qui ho preso l’idea per il titolo. Come si può intuire, il tessuto delle parole è marcatamente ritmato e caratterizzato da combinazioni di rime, assonanze e allitterazioni, il tutto condito con un grandissimo carico di sarcasmo e provocazione. Mi sono divertito tantissimo a scrivere quest’opera, credo che contenga la giusta dose di spontaneità e freschezza con un pizzico di ingenuità, ma il prossimo libro sarà una storia diversa. Preferisco non anticipare nulla perché sto lavorando ancora sulla selezione dei testi, di certo conterrà ancora elementi di spiccata musicalità, fondamentali nella mia poesia.

Giorgio Moio

Poeta, nasce a Quarto (NA) nel 1959. Già redattore di «Altri Termini» e «Oltranza» (di quest'ultima è anche tra i fondatori), per le Edizioni Riccardi, già direttore editoriale, nel '98, anno in cui inizia a partecipare a mostre collettive di poesia visuale (una sessantina fino ad oggi) fonda e dirige la rivista «Risvolti». Dal 2017 dirige la rivista «Frequenze Poetiche» e dal 2021 cura la collana di poesia verbovisuale "Contrappunti", presso l'editore Bertoni. Ha organizzato eventi, partecipato a letture di poesia e ad una sessantina di mostre collettive di poesia visuale. Ha pubblicato una ventina di volumi di poesia, prosa e saggistica, di cui l'ultimo è Contrappunti variabili (Bertoni Editore, 2020 - poesia).

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Giorgio Moio

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