Una rilettura di un volume e un ricordo della poeta Piera Oppezzo scomparsa nel 2009
Nel suo ultimo libro di poesie, Andare qui (Manni, 2003), Piera Oppezzo (Torino, 1934 – Miazzina, 2009) fa parlare i viventi, li fa pensare, li fa sognare, li fa domandare, fissando nello spazio del vivere quegli strumenti necessari per preservare la materia della vita, i segni di un tracciato rappresentativo di eventi mobili da abitare, nonostante siano ustionati nella mente dal presente impedito dal consumismo sfrenato. O meglio. Il pensiero vorrebbe allungarsi e portarsi al di à del senso ovvio delle cose (e spesso con fatica ci riesce) ma s’impasta nelle fessure dell’attesa a guardarsi intorno, barcollando nell’abitudine del presente che non rivela che somiglianze di andature di esercizi destituiti dell’Essere. Così come il sogno, va avanti per segmenti che rasentano formule di silenzi in corteo, tra degenerazioni di un quotidiano che manca di diversità, anche quando allarga l’orizzonte ai temi politici e al femminismo.
Giovanni Raboni, a proposito di L’uomo qui (Einaudi, 1966), prima raccolta poetica della Oppezzo, scrive che «la Oppezzo fa di tutto per metterci sulle tracce di una poesia disadorna e come afona, priva di dimensioni e di colori, una poesia il cui partito preso è quello dell’indifferenza espressiva, dell’appiattimento della parola al suo elementare, irriducibile nucleo gnomico». E lo gnomico e il vivente si assentano tra i detriti dell’umanità, postulando la loro assidua “presenza”, mentre le parole (quando si pronunciano) non domandano e le domande vengono formulate senza attendersi risposte. Quasi uno scenario di “fine umanità” (come non darle ragione!):
Vivente fissa i colori del suo orizzonte.
Scatto. Attesa. Dice di fianco bastava un secondo
Osserva le trame del traffico a convegno permanente.
Ricerca rumori. Abbassa pensieri. Attraversa
Decolla su un serpente illustrato. Esselunga
A suo tempo snodava libellule o piselli?
Spinta dopo spinta un portafoglio. Già aveva.
Vivente ci converte in cronaca cittadina.
[…]
(Vivente e il suo orizzonte, p. 36)
[…]
Dal vivo disastro
che già altre volte ha animato
tra sé e se stessa
fa arretrare l’aridità che l’aveva interrata
Eretica e convinta del suo disaccordo
controlla la vertigine sullo spazio degli assenti.
Il corpo unendosi
allea flussi di presenze. Per loro
avvia un’epoca.
(Pieno giorno, p. 45).
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