Categorie: Culture

Rosa Balistreri e Maria Carta.

Tra le voci più rappresentative del revival folklorico italiano troviamo due figlie d’isola: Rosa Balistreri, nata in Sicilia e Maria Carta, nata in Sardegna . Chi scrive ha avuto la fortuna di conoscerle e sentirle cantare dal vivo. Negli stessi anni hanno calcato i palcoscenici di tutta la penisola e non solo, portando il loro straordinario carisma e la loro inconfondibile voce davanti ai pubblici più diversi. Molti elementi accomunano Rosa e Maria, sia nella vita privata che in quella professionale eppure la potente personalità di entrambe le rende uniche.

Nate a sette anni di distanza l’una dall’altra, Rosa a Licata, provincia di Agrigento, il 21 marzo del 1927,e Maria il 22 settembre del 1934 a Siligo, provincia di Sassari, entrambe hanno umili origini e ci raccontano di un’infanzia molto povera, passata senza scarpe a lavorare duro per aiutare la famiglia, quell’infanzia dove per la prima volta hanno ascoltato dai vecchi della loro terra i canti che poi avrebbero fatto conoscere nel mondo. A entrambe il riscatto da una vita di miseria lo regala la voce straordinaria che hanno ricevuto in dono. Ma questo riscatto sarà per Rosa più difficile e doloroso. La sua vita sarà colpita da molte disgrazie dopo la difficile infanzia. Vivrà un matrimonio infelice con un marito violento che, dopo l’ultimo sfregio, la vendita del corredo della figlia, Rosa pugnala in un momento di disperazione; dopo di che si consegna ai carabinieri, affronta la prigione e ne viene successivamente liberata, dal momento che il marito non muore e nel suo gesto vengono riconosciute attenuanti. Altro dolore, la morte della sorella assassinata dal marito.

Solo in età matura comincerà ad essere conosciuta e apprezzata. Vissuta per vent’anni a Firenze e poi a Palermo e a Roma, ha iniziato la sua attività nell’ambito del Nuovo canzoniere italiano, prendendo parte nel 1966 allo spettacolo Ci ragiono e canto e alla sua ripresa nel 1977; da allora ha svolto un’intensa attività concertistica anche in circuiti tradizionali teatrali. La voce straziante e straziata di Rosa, come l’ha definita Andrea Camilleri, affascina gli intellettuali siciliani dell’epoca.

Non solo il poeta Ignazio Buttitta con cui stringerà un’efficace collaborazione, ma anche figure come Renato Guttuso, Leonardo Sciascia, il già citato Dario Fò la accoglieranno nel novero delle loro amicizie tributandole una costante ammirazione. Rosa diceva di se stessa di non essere una cantante ma un cantastorie che gridava il dolore del popolo oppresso e il suo bisogno di riscatto umano e sociale. La sua voce forte, carnale, profonda viene dalle viscere di quella stessa dolente Sicilia protagonista assoluta del suo canto, non è una voce cittadina e borghese come quella di altri cantanti folk ma espressione genuina, autentica che si impone come verità al centro di ogni scenario che calpesta.

Chi l’ha ascoltata dal vivo sa quale brivido e commozione attraversasse il pubblico quando con quella sua faccia scolpita, la sua voce e la sua chitarra, povera chitarra di poco valore da cui non volle mai separarsi, cantava i suoi canti d’amore, di lavoro, di rivolta e pur chi non capiva il siciliano sapeva quale dolore cantasse. Nel 1972 si tenne un Festival mondiale della canzone popolare e Rosa insieme a Maria Carta e alla Nuova Compagnia di Canto popolare rappresentò l’Italia, accanto a grandi come Amalia Rodriguez, Maria Betania, Vinicius de Moraes e molti altri. In quegli anni il giornalista Giancarlo Governi fu chiamato dalla Fonit Cetra a organizzare e dirigere la prima collana di musica Folk italiana. Propose al rinomato Otello Profazio di registrare il primo disco ma questi si negò, affermando che questo onore toccava alla vera Cantautrice del Sud che era per lui Rosa Balistreri. E così fu. Da quel momento ebbe inizio anche la collaborazione come musicista e paroliere di Giancarlo Governi con Rosa.

La passione con cui Rosa visse, ricercò il patrimonio folklorico musicale della sua isola e cantò gioie e dolori della sua vita e di quella della sua gente sono un dono da non dimenticare che ha costruito parte della nostra identità.

Rosa Balistreri morì a 63 anni nell’ospedale palermitano di Villa Sofia in seguito a un ictus sopraggiunto durante una tournée in Calabria. I suoi resti si trovano nel cimitero fiorentino di Trespiano.

Maria Carta, come detto in precedenza, molto prima di Rosa esce da una vita di miseria e di stenti, perché è bella, un viso da madonna mediterranea che neppure la malattia distruggerà. Vince nel 1957 il Concorso di Miss Sardegna e va a Miss Italia

Con queste parole lo scrittore Giuseppe Dessì la descrive: “ Il suo bel viso, la fierezza e insieme la grazia del suo portamento, più che un simbolo sono una personificazione di quella Sardegna intangibile e indomita che ho sempre amato Quando la sua voce calda e potente si alza e riempie lo spazio, si aprono infiniti orizzonti che scendono nella storia. Dopo aver conosciuto Maria Carta, ancora una volta affermo che i soli grandi uomini della Sardegna sono state donne”.


A Roma Maria non passa inosservata, si sposa con un famoso sceneggiatore e si iscrive al Centro di Musica popolare dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Pubblica due album di grande successo che la condurranno ben presto a partecipare a numerose opere teatrali, televisive e cinematografiche dove la sua austera bellezza, intensità e la sua voce la renderanno in poco tempo apprezzata e famosa.

Maria Carta, determinata, forte e cosciente del cammino da intraprendere sviluppa nella ricerca delle tradizioni musicali della sua terra, una sensibilità profonda e sviluppa nell’esercizio del canto quelle particolari capacità vocali, quelle modulazioni, quei soffiati, quegli acuti, quelle speciali sonorità che la renderanno inconfondibile. Il suo cammino da riproduttrice dei canti tradizionali ad interprete finissima l’ha portata ad allargare il settore delle ricerche direttamente sul campo, anche nelle regioni della Sardegna limitrofe a quella in cui è nata e dove ha passato l’infanzia (Barbagia, Gallura, Campidano). Qui ha raccolto una grande quantità di canti dalle voci dei vecchi e dei pastori e li ha salvati dall’oblio cui erano destinati, inserendoli nel proprio repertorio. Inoltre ha lavorato sui materialti raccolti presso il Centro Studi di Musica popolare dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma con un rigore filologico e musicologico tale che l’Università di Bologna nell’anno accademico 1990/1991 l’ha invitata a tenere un corso sulle sue ricerche e metodologie.


L’eccezionalità del lavoro di Maria Carta consite nell’ aver riscattato il canto di memoria, ossia l’autentica tradizione antica del canto sardo ma di avercene saputo dare, attraverso la sua voce dal timbro di contralto prevalentemente drammatica, sempre nuove interpretazioni, proponendoci insieme testimonianza della tradizione e creazione di suggestioni nuove. Il patrimonio culturale nuovo e antico allo stesso tempo che ci ha lasciato ha l’impronta viva della sua personalità, di una passione per la musica, la sua terra e la sua lingua che si radicano nel suo sofferto vissuto, nella sua emozione intensa e partecipe.

Un altro aspetto della personalità artistica di Maria Carta è stata la sua attività di poetessa.       Ha pubblicato il volume Canto rituale, Roma, Coines, 1975. Si tratta di un poema corale, che può ricordare L’Antologia di Spoon River di Edgard Lee Masters dove i testimoni ormai morti di una civiltà contadina si raccontano. Una grande epicità pervade questi versi: la civiltà dei pastori sardi diventa un potente grido d’accusa contro il colonialismo neocapitalista e il vivere semplice della tradizione diventa spazio umano di grande valore da riscattare nella memoria e nella quotidianità. La Maria Carta poeta come la Maria cantante ci mostra una civiltà minacciata di sepoltura che appare come modello di un futuro dove l’umanità non sia ridotta a puro consumo; nel racconto di una tragicità che le appartiene e appartiene alla sua gente sia che scriva o che canti Maria Carta innesta un bisogno di continuità culturale e artistica che non viene mai meno.

Di lei non possiamo dimenticare l’impegno civile che non si espresse solo nel suo lavoro ma nel suo impegno anche politico. Venne eletta consigliere Comunale a Roma dal 1976 al 1981, dimostrando anche in questa attività la forte componente morale che ha caratterizzato in ogni aspetto la sua vita.

Con lei per la prima volta la Sardegna ha fatto ascoltare la sua voce sulla scena nazionale e internazionale, uscendo dall’isolamento che la sua stessa storia aveva determinato, producendo un avvicinamento culturale e sociale e un confronto che l’isola non aveva mai avuto col Continente.

 Dopo anni di lotta contro il cancro, Maria Carta è morta all’età di 60 anni nella sua casa di Roma il 22 settembre del 1994. Riposa nel piccolo cimitero di Siligo, per sua stessa volontà.

Ci sembra inutile citare qui i numerosi dischi che Rosa Balistreri e Maria Carta hanno registrato nella loro carriera, la loro discografia è rintracciabile ovunque.

Grazia Fresu

Docente di letteratura italiana nell'università Nazionale di Cuyo a Mendoza (Argentina), scrittrice, drammaturga, poetessa, ha pubblicato libri di poesia, collaborato a diverse antologie collettive, organizzato eventi di narrazione e teatro con testi suoi e di altri. I suoi saggi letterari e di costume e le sue conferenze presentate in università, congressi, biblioteche, musei d'arte sono stati pubblicati negli atti dei congressi cui ha partecipato e in riviste specializzate sia in italia che in Argentina. Collabora con la rivista online L'Ideale.

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