Categorie: Culture

Viaggio nella Terra del Fuoco

La seconda parte del mio itinerario nell’estremo sud dell’Argentina mi porta a visitare la Terra del Fuoco, un arcipelago che si trova nella parte più meridionale del continente sudamericano, diviso tra Argentina e Cile, a sudest dello stretto di Magellano, il cui nome deriva dal fatto che i primi a toccare queste terre furono proprio i marinai guidati in spedizione di scoperta da Ferdinando Magellano nel 1520. Fu il portoghese Magellano a dare il nome a questa terra. Avvicinandosi ad essa vide la costa gremita di fuochi che gli Yámana, uno delle popolazioni autoctone radicate nell’isola già dall’8000 a. C., accendevano nella notte per riscaldarsi e illuminare l’oscurità. Il destino di queste popolazioni al contatto con gli Europei fu lo stesso di molte altre etnie, ossia vennero sterminati sia per la persecuzione dei coloni che volevano appropriarsi delle loro terre che a causa delle malattie infettive portate dai bianchi e per le quali non avevano difese immunitarie. Inoltre molti di loro vennero deportati per lavorare nell’isola Dawson. Oggi pochissimi discendenti abitano queste terre e vivono di artigianato ma la loro cultura e la loro lingua sono state cancellate dalla violenza predatrice dei coloni.

Persino Darwin nella cronaca dei suoi numerosi viaggi lasciò su di loro annotazioni precise e piene di interesse.

Soltanto a metà del XIX secolo i primi Europei si stabilirono nella zona attratti dalla prospettiva di trovare l’oro e dalla possibilità di allevare le pecore. Oggi le principali attività economiche consistono nell’estrazione petrolifera a nord e nel grande sviluppo turistico a Sud, legato anche ai viaggi in Antartide, per i quali si parte, come per molte altre escursioni, proprio dalla città di Ushuaia.

Qui arriviamo con l’aereo dal Calafate e la città ci accoglie con una vista mozzafiato. Il capoluogo delle Isole dell’Atlantico Sud, con la maggiore popolazione dell’arcipelago, si affaccia sul Canal Beagle, di fronte alla lontana Antartide e dal suo porto salpano le navi da crociera per visitare il suggestivo continente di ghiaccio. Le fanno corona montagne ad arco di cui si intravedono le cime innevate. Il contrasto tra i rilievi e l’azzurro del mare mette ancora più in risalto la cittadina. Ci istalliamo in un hotel nella via principale che la attraversa. Ci sembra di camminare dentro un gigantesco lego. Le case sono per lo più basse, molte di legno, coloratissime e anche dove le costruzioni sono in muratura si distinguono le terrazze, le porte, le finestre che con innumerevoli decorazioni danno al tutto un aspetto quasi fiabesco. Una commistione strana per noi in queste costruzioni che sembrano baite ma spesso si affacciano sul mare con grandi vetrate, specie i bar e i ristoranti dove si mangia, ovunque, una deliziosa granceola condita con olio e accompagnata da verdure grigliate. Decidiamo di vedere ciò che ci offre la città in una passeggiata panoramica e informativa sui luoghi più interessanti da visitare, prima di organizzare le escursioni che ci porteranno a conoscere l’arcipelago in tutta la sua complessità paesaggistica e abitativa. Qui vi si trova di tutto: foreste, steppe, aree fredde e semidesertiche e mare, per ogni dove questo mare azzurrissimo e freddo che nel corso del giorno cambia colore e ci attira continuamente sulle sue rive.

Il giorno dell’arrivo ci godiamo una passeggiata alla scoperta delle stradine arrampicate verso i monti e scopriamo il bellissimo lungomare dove un cartello adornato ci dice che siamo alla fine del mondo e un altro dove traforata appare l’immagine perimetrale delle isole Malvinas che il cielo riempie. Le Malvinas, come le chiamano gli Argentini reclamandone il possesso, sono quelle stesse Falkland per cui Argentini e Inglesi combatterono nell’ultimo periodo della dittatura militare argentina e che sono oggi ancora in mano agli Inglesi. Quella guerra è un’altra delle terribili responsabilità della Dittatura argentina che si lanciò nell’impresa delle Malvinas per stornare l’attenzione degli Argentini da ciò che di terribile accadeva nel paese e cercare di accorparli in un’ opportunistico amor di patria che rivendicava queste terre. Esse, pur appartendendo geograficamente al territorio nazionale, e anche come  ex colonie  della Corona di Spagna della quale l’Argentina si è liberata affermandosi come Nazione autonoma, non le appartengono  come cultura. Infatti la maggioranza della popolazione parla inglese e si riconosce in uno stile di vita inglese. Solo il 10% degIi abitanti parla spagnolo. I giovani che non venivano massacrati nei centri di detenzione clandestina furono mandati a morire in queste freddissime isole senza adeguato equipaggiamento e senza preparazione a nessuna delle condizioni cui si sarebbero trovati di fronte. I reduci sopravvissuti di questa guerra ancora chiedono sostegno e risarcimento.

Il giorno dopo l’arrivo prenotiamo la barca per navigare il Canal Beagle. Fa freddo ma il cielo è limpidissimo e il mare calmo. Costeggiamo la baia e man mano che ci allontaniamo dalla costa la visione della città vista dal mare ci fa apprezzare ancora di più la posizione e le sfumature di colore che assume sotto il sole della mattina. Le montagne del cordone di Martial, la parte più a sud della Cordigliera delle Ande, recintano la baia e vi si riflettono tingendosi d’oro e di rosa. I tetti delle case si striano della stessa luce e le facciate sorgono man mano dalla penombra aprendo finestre curiose sul mattino.

La navigazione ci porta al largo verso il Faro de Les Eclaireurs, popolarmente conosciuto come Faro della Fine del Mondo, l’ultima costruzione umana al confine di questa terra. Pare che sia stato tra altri di ispirazione a Giulio Verne per il suo libro omonimo. Durante la navigazione avvistiamo isolotti con leoni marini stesi al sole e altri con colonie di cormorani dal petto bianco. Il grasso dei leoni marini serviva alla sopravvivenza degli indigeni Yámanas , che andavano nudi e nuotavano così nelle gelide acque della Terra del Fuoco in cerca del loro cibo abituale. I suoni degli animali sugli scogli che andiamo costeggiando si mischiano con lo sciabordio delle onde intorno alla chiglia. In una manovra di avvicinamento per permetterci di fotografare questi esemplari della fauna locale un’improvvisa alta onda investe la fiancata e si riversa sul ponte riempiendoci le tasche delle giacche a vento d’acqua marina e di una sostanza mucillaginosa che copre la superficie del mare intorno agli isolotti.

Zuppi e impregnati di un odore forte scendiamo al bar per rifocillarci, prima di avvistare il faro. Risalendo per il canale lo vediamo di fronte a noi, eretto su un’isola, rosso scuro con una banda bianca al centro, lo circumnavighiamo con quella strana sensazione di stare così a Sud del mondo, in un limite che da geografico va facendosi man mano psicologico. Ci sentiamo come viaggiatori di terre sconosciute agli estremi del pianeta. Fa molto freddo per la stagione in cui siamo e che alle nostre latitudini ci regalerebbe tepore, ma ci affascina questo mondo periferico a un passo dal continente di ghiaccio, ci affascina questo mare così diverso dal nostro Mediterraneo e che racconta altre storie. Quando torniamo in porto dopo un giorno di navigazione ci facciamo prendere di nuovo dalla città ormai notturna, un suggestivo arco di luci sulla baia e le barche ancorate i cui colori cominciano a svanire nel buio lasciando solo i loro alberi a svettare illuminati contro il cielo. Scopriamo un piccolo ristorante nel cuore dell’abitato e poi una pasticceria deliziosa gestita da una coppia di tedeschi venuti qui chissà quando, ci sembra un pezzo di Tirolo esportato ai confini del mondo. Mangiamo pesci squisiti al ristorante e finiamo la serata con assaggi di torte e pasticcini che ci fanno tornare bambini golosi.

Dedichiamo ancora qualche giorno alla visita della città, al suo museo e al vecchio penitenziario, anch’esso trasformato in museo, dove molte storie ci vengono raccontate sui carcerati celebri di queste prigione e sulla massa di detenuti comuni che ogni mattina venivano portati in treno a lavorare per edificare questa città, dotarla di strade e di ferrovia. Prenotiamo anche un giro sul Treno della Fine del mondo che si addentra nei boschi e nelle montagne circostanti mostrandoci un paesaggio totalmente diverso da quello della costa.

Penetriamo nel Parco Nazionale della Terra del Fuoco, addentrandoci per sentieri, in parte in macchina, in parte a piedi tra pareti di alberi policromi, molti dei quali sconosciuti o rari alle nostre latitudini, la luce filtra tra le chiome frondose e ci dipinge il volto e le mani. I boschi di questa terra fredda ospitano prevalentemente specie autoctone, (i cui nomi, come coihue,  canelo e molti altri, ci  sono estranei)  e ci appaiono con fioriture e colori inusuali che attirano ancor più la nostra attenzione. Il fitto sottobosco è dominato dal calafate, un arbusto appartenente alla famiglia delle Berberidacee, diffuso in Argentina e Cile, che ha dato il nome alla località patagonica da cui siamo partiti per arrivare alla Terra del fuoco.

Nel nostro percorso arriviamo in un luogo che sembra per contrasto desolato, con vecchi tronchi morti abbandonati tra la terra e l’acqua di stagni e paludi e piccole dighe costruite dai castori. Ci spiegano che quella desolazione la si deve proprio ai castori canadesi , introdotti nel 1946 dall’esercito argentino il cui scopo era di sviluppare l’industria delle pellicce, impresa che si rivelò fallimentare, dal momento che essendo il clima qui molto meno freddo che in Canada i castori hanno sviluppato pellicce meno folte e quindi meno competitive sul mercato. Inoltre i naturali predatori dei castori come l’orso, il lupo e la lince non esistono qui e questo ha portato a un loro rapido sviluppo con disastrose conseguenze sull’ecosistema locale, fino a trasformarli in una vera e propria plaga cui si deve la distruzione di migliaia di ettari di bosco.   Per questo una legge locale autorizza la caccia «aperta» tutto l’anno a questo roditore, considerato un flagello dalle autorità argentine e cilene.

Ci sentiamo esploratori di un tempo passato in questi giorni di viaggio attraverso una terra di natura incontaminata e paesaggi selvaggi. Altri laghi qui, diversi da quelli patagonici, si offrono al nostro sguardo. Visitiamo il lago Fagnano e il lago Escondido arrivandoci a piedi, attraverso due piste pedonali, dopo aver lasciato la camionetta a qualche chilometro di distanza, per poterci godere al massimo un paesaggio incomparabile.

La visione panoramica sorprendente del Lago Escondido ci appare da un belvedere del Passo Garibaldi, che si apre tra le alte pareti di roccia della Cordigliera ed è una delle meraviglie di questo settore nel centro dell’isola della Terra del Fuoco.

Li raggiungiamo a piedi, nel cammino troviamo guanacos, una delle quattro specie di camelidi sudamericani, abbondanti in queste zone. E tra i numerosi uccelli che popolano il Parco, che ha una superficie totale di 63.000 ettari di cui solo 2000 accessibili al pubblico, intravediamo il condor delle Ande, e poi l’albatros, il cormorano, varie specie di gabbiani, oche selvatiche e anatre sulla riva dei laghi. Ci parlano della presenza del picchio di Magellano e del carancho ma non riusciamo a vederli. Sentiamo il richiamo stridente dell’ibis faccianera ma neppure questa riusciamo a vederla nel folto della vegetazione. E ci mostrano sul terreno tracce di lontre, volpi, visoni e conigli. Un silenzio magico si accompagna a sonorità nuove ad ogni escursione.

Sul Lago Fagnano sostiamo accanto a un piccolo imbarcadero e in una minuscola spiaggia, mentre già cala il tramonto, ci sediamo affondando le mani in una sabbia fredda eppure per noi confortevole e di nuovo un silenzio magico avvolge il panorama e noi in un poetico stupore.

Miriadi di visioni e emozioni ci hanno attraversato in queste terre da fine del mondo e nel nostro viaggio di ritorno a Buenos Aires hanno cominciato a maturarci dentro un’incredibile nostalgia.

Sarebbe impossibile raccontare nella brevità di un articolo l’esperienza di questo viaggio, abbiamo solo tentato di darvi alcune suggestioni che possano spingervi a visitare queste terre per conoscerle e cercarvi ciò che di voi ancora sicuramente non conoscete e che laggiù vi apparirà di una sorprendente chiarezza.

Grazia Fresu

Docente di letteratura italiana nell'università Nazionale di Cuyo a Mendoza (Argentina), scrittrice, drammaturga, poetessa, ha pubblicato libri di poesia, collaborato a diverse antologie collettive, organizzato eventi di narrazione e teatro con testi suoi e di altri. I suoi saggi letterari e di costume e le sue conferenze presentate in università, congressi, biblioteche, musei d'arte sono stati pubblicati negli atti dei congressi cui ha partecipato e in riviste specializzate sia in italia che in Argentina. Collabora con la rivista online L'Ideale.

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Grazia Fresu

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