Eppure lo aveva sognato da sempre, Juliette, di vivere in Provenza. Aver trovato quel villino a Castellet, ad un prezzo così basso, le era sembrato un sogno, un nuovo inizio.
Il profumo della lavanda le faceva dimenticare tutto.
Si era inserita bene nella comunità locale, ma ora era terrorizzata da quella presenza.
Quel suo vicino la spaventava solo nel salutarla.
Silenzioso, mai un accenno di sorriso sul viso, occhi indagatori e un azzurro ghiaccio, Messier Hilot, era così che si chiamava, emanava una luce cattivissima.
Per carità, sicuramente, era lei che esagerava, perché in realtà non aveva nessun motivo per lamentarsi. Era così riservato che solo incontrarlo in giro dopo le sei del pomeriggio era una rarità, ma forse era per quel motivo che ne avvertiva la presenza.
Messier Hulot si ritirava presto, e non usciva quasi mai dalla sua casa, se non per le emergenze.
Juliette, però sentiva i brividi percorrerla, quando lo vedeva affacciato alla finestra, ma lo associava al suo lavoro di infermiera in quel vecchio manicomio agli inizi di carriera.
Ecco chi le ricordava.
Messier Opal, lo schizofrenico in isolamento. Gli faceva le iniezioni di insulina per il diabete, e lui rideva sempre.
Comunque quella sera doveva recarsi in farmacia e preferì aspettare le sette per evitare di incontrarlo.
Pioveva forte, così prese l’ombrello, e si mise a correre.
Se la sarebbe cavata in pochissimo tempo. Aveva intenzione di finire di leggere quel libro di Simenon ambientato a New York, il suo nuovo sogno.
Non si accorse di quel tombino aperto, scivolò e la sua caviglia si contorse, facendole un gran male e le uscì un urlo.
Lui, messier Hulot, sembrò uscito dal nulla, al suo fianco.
Si inginocchiò e la prese in braccio, la sollevò come fosse un fiore leggerissimo.
È una brutta storta, ma niente che non si possa rimediare con una fasciatura stretta e del ghiaccio. L’accompagno a casa sua, stia tranquilla. –
Tranquilla non lo era per niente ma sorpresa tanto.
L’ uomo che l’aveva spaventata, la stava aiutando e da vicino sembrava diverso.
Anzi a dir la verità sembrava bellissimo.
Lui, sorridendo la trasportò fino alla soglia del villino, le fece aprire la porta e la deposito’ sul divano.
Le mise del ghiaccio sulla caviglia, poi si fece dare delle bende e le fascio’ la caviglia da vero artista.
Poi quasi sottovoce le disse – Ora la tenga sollevata e domani starà già meglio.
La devo salutare perché la mia gatta aspetta la sua razione di crocchette –
Non so come ringraziarla È stato un angelo. Sono Juliette e mi sono trasferita qui da poco, vorrei invitarla a pranzo appena mi sarò ripresa. Se lo merita tanto. –
Grazie, nessun disturbo Juliette, mi ha fatto piacere rendermi utile.
Sa, sono un lupo solitario, ma non mordo. Quando vorrà, verrò volentieri.
Le piace il vino rosso? –
Oh sì, lo adoro. –
Allora è andata, porterò un Bordeaux da sogno. –
Poi Juliette lo vide uscire.
Anche mentre camminava aveva classe. Quanto si sbaglia, pensò, nell’ avere dei pregiudizi.
Hulot chiuse l’uscio dietro di sé e tornò a casa contento.
Apri’ la porta e si recò al bagno, si spoglio’ e si fece la doccia.
Poi prese il suo vestito di pizzo spagnoleggiante, si umetto’ il rossetto sulle labbra, mise un tacco dodici rosso, e entrò in sala.
Sulla poltrona, lei legata e con addosso solo l’ intimo, lo aspettava terrorizzata.
Lui tiro’ fuori la matita e le disegnò sulle labbra dei baffi
Eccomi, micetta, il tempo di mettere un ultimo tango e sono da te.
L’ attesa sarà breve, perché ho trovato una nuova gatta. –
La benda che le impediva di parlare e gli occhi fuori dalle orbite, le mani e i piedi legati, tutto cominciò a tremare in quell’istante.
La pioggia violenta e le pareti imbottite coprivano ogni rumore mentre calava il coltello.
Per l’immagine ringraziamo Giordano Pieralisi che ha gentilmente concesso l’uso della sua fotografia