Il trombettista per eccellenza del jazz italiano, Enrico Rava, si esibirà venerdì 20 gennaio sul palcoscenico de Il Moro di Cava de’ Tirreni (inizio ore 22, info: 0894456352 e www.pubilmoro.it) alla testa di una superband che annovera Dario Deidda al basso; Alfonso Deidda al pianoforte e sax, Amedeo Ariano alla batteria e Julian O. Mazzariello al pianoforte.
Ogni suo concerto è una specie di festival per conto suo. Dentro ci trovate di tutto: il lato più romantico del jazz, segmenti di pura e magistrale improvvisazione, sonorità della migliore cultura musicale italiana (anche pop, anche folk), l’esperienza, la vitalità, la musica, un patrimonio costruito con incontri eccellenti che hanno arricchito un talento di per se’ straordinario. Enrico Rava è un tesoro indiscutibile della cultura italiana nel mondo.
“Mi sono innamorato del jazz da bimbo ” dice il settantottenne musicista torinese, nato per caso a Trieste – “perché c’erano in casa dei dischi di mio fratello, appassionato di jazz. Da subito è scattata questa passione che è diventata una monomania, collezionando dischi, fotografie. Ho incominciato molto tardi a suonare, quando ho comprato la prima tromba avrò avuto 18 anni. Le prime esperienze le ho fatte in Italia, ho iniziato a suonare con Gato Barbieri, poi con Steve Lacy, che mi ha portato a New York. Sono andato lì con un musicista di serie A e questo mi ha aperto subito tutte le porte dei grandi e mi sono trovato a suonare con quelli che erano i miei idoli da subito. All’inizio era come essere in un film, un film in cui il protagonista ero io“.
Partendo da una sonorità che si ispirava a Miles Davis, Rava che ha al suo attivo più di novanta registrazioni delle quali una trentina da solista, nel corso degli anni e di una carriera magnifica ora ha un timbro e un carattere inconfondibili
“Il suono normalmente è come la voce – aggiunge lui – “è il suono di uno. Non è che ci sono arrivato, è il mio suono dall’inizio, che nasce dal fatto che amavo certi trombettisti a partire da quando ero bambino: Bix Beiderbecke che è stato uno dei miei grandi idoli, Louis Armstrong poi Miles soprattutto,Chet Baker moltissimo. Mi piacciono tutti i trombettisti non squillanti, non sovracuti“.
Al Moro il concerto si dipanerà tra composizioni originali del trombettista e alcuni tra gli standard più conosciuti della musica afroamericani: “Tra i tantissimi pezzi che si fregiano della definizione di standard, uno che non smetterei mai di suonare è “My funny Valentine”, che per me è perfetta perché può essere suonata in mille modi diversi, ha una struttura che ha molte aperture, è un pezzo che dà una libertà assoluta. All’inizio era una canzoncina per ragazzine, poi dopo la versione di Miles Davis, del 1964 tutti ne hanno capito le potenzialità. Quando suono quasi sempre la inserisco, perché mi viene diversa ogni volta, l’avrò suonata 10.000 volte senza esagerare“.