Categorie: Culture

Premio Nobel per la pace 2018

Il premio Nobel per la pace (Nobel peace prize) istituito dal testamento di Alfred Nobel del 1895 è stato assegnato, con gli altri premi, per la prima volta nel 1901.

L’assegnazione del premio non si è svolta in 19 occasioni:

– durante la prima guerra mondiale dal 1914 al 1918, eccetto che nel 1917 in cui lo si diede alla Croce Rossa Internazionale

– negli anni tra le due guerre mondiali: 1923, 1924, 1928 e 1932

– durante la seconda guerra mondiale: 1939,1940, 1941, 1942, 1943. Nel 1944 di nuovo fu assegnato alla Croce Rossa Internazionale

– negli anni della guerra fredda : 1948, 1955, 1956 e la guerra del Vietnam: 1966, 1967, 1972.

Il premio Nobel per la pace viene assegnato con una procedura diversa rispetto agli altri premi Nobel. Secondo le indicazioni testamentarie di Alfred Nobel, mentre i premi per la scienza e per la letteratura vengono decisi da istituzioni svedesi, quello per la pace è assegnato da un Comitato nominato dal Parlamento norvegese, che ogni anno invia richieste di suggerimenti di candidati a membri   dell’Istituto norvegese dei Nobel,  delle assemblee nazionali e governative di vari paesi,  della Corte Internazionale di giustizia dell’Aia, della Commissione dell’Ufficio permanente Internazionale di pace, di Istituti di Diritto Internazionale, professori universitari di diritto, scienze politiche, storia e filosofia, personaggi insigniti del Nobel per la pace, direttori di Istituti di studi militari o Organizzazioni che lavorano per la pace.

Le segnalazioni sono accolte entro il primo febbraio e poi attentamente esaminate da esperti. Il premio viene consegnato a metà ottobre nel Municipio di Oslo.

A volte l’assegnazione del Nobel per la pace è stata fortemente contestata dall’opinione pubblica internazionale,  come per esempio nel caso di Henry Kissinger, segretario di Stato durante i mandati presidenziali di Richard Nixon e Gerald Ford. Artefice della politica di distensione con l’Unione sovietica e la Cina e della cessazione delle attività belliche contro il Vietnam, nel 1973 gli fu assegnato per questo il Nobel per la pace. Ma la sua figura resta controversa, dovuto all’intervento della CIA nei vari colpi di Stato dell’America latina durante la decada del ’70. Lo si considera istigatore di sistematici genocidi di gruppi politici, in appoggio a regimi totalitari come la dittatura militare cilena e argentina. Per questo sono nate numerose iniziative per processarlo in tribunali internazionali e ovviamente ritirargli quel premio Nobel per la pace che a molti appare immeritato.

Quest’anno il Nobel per la pace ha scelto due attivisti nella lotta contro la violenza sessuale come arma in guerra e nei conflitti armati: Nadia Murad e Denis Mukwege, entrambi già vincitori del Premio Sajarov attribuito dal Parlamento Europeo.


La prima è un’attivista irakena di diritti umani appartenente alla minoranza Kurdayazidì che nell’agosto del 2014 fu sequestrata e imprigionata della Stato Islamico e solo dopo tre anni potè ritornare alla sua città di origine. Il racconto di Nadia sulla sua cattura e prigionia riempie d’orrore. Aveva 19 anni quando combattenti dello Stato Islamico entrarono nel suo piccolo paese, uccisero 600 persone, tra le quali sei dei suoi fratelli e sua madre e presero come schiave le donne presenti.

Nadia fu imprigionata nella città di Mosul e qui picchiata, torturata e violentata. Miracolosamente, dopo tre mesi di prigionia, per una disattenzione del suo carnefice che aveva dimenticato la porta di casa aperta, riuscì a scappare rifugiandosi presso una vicina famiglia musulmana che la aiutò a sfuggire all’area di controllo islamica con documento d’identità  falsificato e a raggiungere l’accampamento di rifugiati di Duhok.

Nel febbraio del 2015, mentre viveva nell’accampamento Rwanga, diede testimonianza delle torture subite a giornalisti del giornale belga La libre Belgique. Nello stesso anno, insieme a mille donne e bambini, entrò a far parte del programma di rifugiati del Governo tedesco e parlò davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite delle violenze subite dai rifugiati. Risiede tutt’ora in Germania, paese che ha accolto e proporzionato assistenza medica e psicologica a molte donne sopravvissute alla violenza dell’ISIS. Con l’aiuto di Amal Ramzi Clooney, avvocata libanese-britannica, specializzata nella difesa dei Diritti Umani, ha mosso azione giudiziaria contro i capi dell’ISIS con l’accusa di genocidio, violenza sessuale e tratta di persone, ha ricevuto come conseguenza forti minacce che nonostante tutto non l’hanno fatta arretrare dalla sua lotta.

Nel 2017 ha pubblicato le sue memorie Io sarò l’ultima: storia della mia prigionia e della mia lotta contro lo Stato islamico e ha fondato un’organizzazione, La Iniziativa Nadia, che aiuta donne e bambini vittime della guerra e del traffico di persone a ricostruire la propria vita.

Il Comitato per il Nobel ha riconosciuto a questa giovane donna un coraggio eccezionale nel sostenere, nonostante il pericolo che corre nel farlo, la causa di tutti i sopravissuti alle violenze della guerra e nell’aver rifiutato di accettare i codici sociali che obbligano le donne a restare mute e preda della vergogna riguardo agli abusi subiti.

Nadia Murad userà i soldi del premio per spingere ancora di più la causa della sua gente davanti alla comunità internazionale: infatti gli yadizí, la minoranza cui appartiene, continuano a vivere in condizioni miserabili, ammucchiati in accampamenti dove mancano le più elementari condizioni alimentari e sanitarie. Per loro Nadia chiede urgente aiuto umanitario da parte di tutti.

La seconda attribuzione del Premio Nobel per la pace riguarda Denis Mukwege, un ginecologo congolese di 63 anni che tutti chiamano “l’homme que répare les femmes” (l’uomo che ripara le donne) e che  da quasi vent’anni aiuta le donne della Repubblica Democratica del Congo a riprendersi delle violenze subite. Ha studiato medicina in Burundi e in Francia e nel 1966 ha fondato l’Ospedale di Panzi, spinto dal numero delle donne violentate che aumentava di giorno in giorno.

Da molti anni la Repubblica Democratica del Congo è teatro di orribili massacri e violenze contro la popolazione civile dove la violenza sessuale sulle donne è divenuta il mezzo per causare danni irreversibili alle persone, alle famiglie, al tessuto sociale. Attraverso la violazione  si ottiene che la donna sia rifiutata dalla famiglia e dalla comunità, rompendo così la catena degli affetti e della solidarietà familiare e generando paura e impotenza nella società.

La donna violentata, come ha denunciato Mukwege, mostra spesso nel suo corpo danni irreparabili o complessi da riparare, la sua vagina e il suo retto vengono lacerati con coltelli e altri oggetti affilati, non possono più avere figli e contraggono malattie infettive come il virus dell’AIDS. Altrettante sono le conseguenze mentali e psicologiche che seguono a questa violenza. Il ginecolo congolese è conosciuto come il “Dottor Miracolo” per la sua capacità di riparare con la chirurgia ricostruttiva il terribile danno inflitto alle donne stuprate.

 “Il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo non è tra gruppi di fanatici religiosi. Neppure è un conflitto tra Stati. È un conflitto causado da interessi economici, e la forma nella quale si sta portando avanti è distruggendo le donne congolesi “, denuncia Mukwege.

 Denis Mukwege combatte da anni  questa barbarie che il Congo non riesce a arginare, non solo attraverso la sua attività di medico specializzato nella riparazione della fistola ostetrica ma come attivista internazionale che denuncia la violenza. I gruppi armati che questa violenza perpetrano hanno attaccato la sua casa e prese le sue figlie come ostaggi costringendolo a portare la sua famiglia in salvo prima in Svezia e poi in Belgio.

Nel 1913 in seguito a una campagna realizzata dalle  donne congolesi per raccogliere fondi che permettessero pagare il suo biglietto di ritorno,   il dottore è rientrato nel suo paese e nel suo ospedale dove ora vive, rinunciando a molte delle sue libertà personali e dove il suo lavoro è protetto permanentemente dalle forze di pace dell’ONU.

Grazia Fresu

Docente di letteratura italiana nell'università Nazionale di Cuyo a Mendoza (Argentina), scrittrice, drammaturga, poetessa, ha pubblicato libri di poesia, collaborato a diverse antologie collettive, organizzato eventi di narrazione e teatro con testi suoi e di altri. I suoi saggi letterari e di costume e le sue conferenze presentate in università, congressi, biblioteche, musei d'arte sono stati pubblicati negli atti dei congressi cui ha partecipato e in riviste specializzate sia in italia che in Argentina. Collabora con la rivista online L'Ideale.

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Grazia Fresu

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